Fu Giolitti a instituire i manicomi dove "devono essere curate e custodite le persone affette da ogni forma di alienazione mentale, quando siano pericolose per se stesse o per altri, quando riescano di pubblico scandalo e non siano e non possano essere convenientemente custodite e curate fuorché nei manicomi". Grazie al passaggio di pubblico scandalo venivano rinchiusi tutti coloro che, a causa delle loro idee, del loro comportamento, della loro estrazione o della loro collocazione sociale risultavano scomodi: mogli poco mansuete, bambini problematici, e chiunque non rispettava la morale del tempo, mettendo a rischio il buon nome della famiglia.
Bastava una segnalazione di pericolosità e in modo coatto venivano rinchiusi. Dopo la prima guerra mondiale vennero internati molti reduci di guerra a causa dei loro disturbi da stress post traumatico.
Anche personaggi famosi subirono lo stesso trattamento: Albino Mussolini (figlio di Benito Mussolini) fu rinchiuso a Limbiate e morì a 27 anni per consunzione, dicono, anche se dalle cartelle si evince che fu per le ripetute torture, le iniezioni di insulina e le nove volte in cui andò in coma. Anche sua madre Ida Dalser, la prima donna di Benito, fu rinchiusa a causa della rabbia che dimostrò nei confronti di Benito e della moglie Gloria. Alda Merini, che dall’età di 16 anni subì diversi ricoveri in manicomio, si dice per un disturbo bipolare. Vincent Van Gogh internato per "mania acuta". Il poeta Dino Campana che soffriva di ebefrenia, ovvero sbalzi d'umore.
Chissà quanti altri di cui non abbiamo notizie, erano più prigionieri che pazienti, spesso al freddo, sporchi, malnutriti, picchiati, sottoposti a trattamenti di tortura camuffati da pratiche sanitarie, come bagni gelidi, elettroshock, iniezioni di farmaci o altro. Si arrivò addirittura a praticare la lobotomia. Un caso eclatante fu Rosemary Kennedy, sorella di Robert e John Fitzgerald che a causa del suo comportamento libertino, a soli 23 anni venne lobotomizzata e resa un vegetale.
I guardiani, o sarebbe meglio chiamarli carcerieri, erano scelti per le doti fisiche più che intellettive, per loro c'erano cose, non persone. Cose da lavare, cose da vestire, cose da legare o cose da torturare. Ogni gesto era compiuto per distruggere la loro volontà, il loro individualismo, venivano contenuti in ogni modo possibile senza il minimo rimorso, era molto più comodo tenerli legati, seduti a terra contro i muri, instillare in loro un terrore tale che avrebbero temuto torture se avessero alzato lo sguardo.
Molte son le testimonianze che si possono trovare in rete, tra video e interviste.
MARIA: gli infermieri abusavano di noi donne, ragazze, non importava che età avessimo, non li fermavano le nostre urla o i nostri pianti, non importava loro l'ennesimo dolore che ci infliggevano. Alcune restavano incinte ma non portavano a termine la gravidanza a causa dei farmaci, delle botte, altre non avrebbero mai saputo che fine facesse il proprio bambino.
ANTONIO: son rimasto 42 anni in manicomio, senza che ci fosse per me (come per moltissimi altri) la diagnosi di una malattia.
LUCIA: mi hanno rinchiuso in manicomio quando avevo solo 8 anni. Il giorno in cui mio padre mi lasciò qui c’era anche un'altra bambina, si chiamava Carlotta: eravamo amiche. Un giorno, anni dopo, lei morse un infermiere, la portarono di sotto dove facevano le terapie, quando tornarono lei non era più la Carlotta che conoscevo, se ne stava immobile sulla sedia a rotelle con lo sguardo spento e perso nel vuoto. Solamente dopo capii che era stato l’elettroshock a ridurla così.
RITA: i primi mesi ero nel reparto "tranquille", poi venni spedita in quello "agitate" perché mi ero ribellata alle avance di un infermiere. Lì c'erano donne legate, alcune imbavagliate. Se ti comportavi male ti mettevano il corpetto (camicia di forza) e la scuffia che era un lenzuolo, spesso bagnato di urina con cui ti coprivano volto e testa e legato al collo. Potevano legarti al letto oppure ad alcuni anelli al muro.
CARLO: ci portavano in gruppi in un grande stanzone, ci legavano ai letti in attesa del nostro turno di terapia. Era un incubo, terrorizzati, impotenti, sapevamo cosa ci aspettava. Sentivamo nella stanzina in fondo urla e pianti, poi il silenzio. Vedevamo tornare gli infermieri con il paziente, privo di conoscenza, sembrava una bambola rotta di pezza, al loro passaggio sentivamo la puzza dei loro escrementi. Quando la corrente attraversa il corpo si perde conoscenza e controllo di tutto.
Queste solo alcune delle centinaia, migliaia di testimonianze di persone che han vissuto la barbarie, la violenza dei manicomi. Persone trattate senza dignità che han subito violenze fisiche e psicologiche atroci.
Abbiamo esplorato diversi manicomi e in ognuno la sofferenza è tangibile, la si percepisce attraversando i lunghi corridoi, nei grandi stanzoni, nelle piccole celle contenitive per chi era "violento, furioso, agitato".
Dolore e paura sembrano permeare ogni cosa all'interno di questi luoghi. La sensazione di disagio e tristezza ci accompagna ad ogni passo, sempre più pesante nell'avanzare.
La sensazione di venir inghiottiti in un mondo buio, nero, terrificante...
La consapevolezza di ciò che è stato per i malati il manicomio, la fine di ogni speranza, la fine della persona come essere umano, solo un numero, un altro "folle" da usare per esperimenti. In ognuno di questi luoghi ci ha colto un profondo senso di angoscia, increduli di fronte a tanta cattiveria e violenza...
A tutte queste persone chiediamo scusa noi, ci scusiamo per chi aveva, sotto giuramento, promesso di prendersi cura di voi, dimostrandosi invece un mostro senza cuore.
Non ci son più fili spinati a dividere la "città dei matti" dal resto del mondo, ma non basta una legge per capire che se non si riesce a vincere la paura dell'altro, del diverso, almeno si dovrebbe cercare e impegnarsi a conviverci.
Finché si avranno passioni non si cesserà di scoprire il mondo"
È ciò che la nostra passione ci porta a fare ogni giorno, ogni weekend libero, scoprire le bellezze nascoste che ci circondano. Tra sacrifici, km, spese e risvegli all'alba.
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