Un omaggio e una denuncia verso un gesto che può sembrare banale ma che spesso accompagna le nostre esplorazioni, posti incendiati, vandalizzati e cannibalizzati di tutto ciò che hanno, un grazie di cuore ad Alice Bon per le profonde parole e un grazie a Elena per le fotografie
L’abbandono di un pianoforte
È un po’ come quando in autostrada scende la sera, qualcuno accosta, prende in braccio il cane e lo lascia lì; che tanto poi nessuno vede, nessuno sente, ma chi sa te lo augura, che prima o poi tu venga abbandonato a bordo vita così come il tuo cane tra le immondizie a bordo strada. Se abbiamo il cuore predisposto a farlo, ci affezioniamo agli animali non nostri. Ci affezioniamo anche agli oggetti che non sono nostri.
Qualche tempo fa un pianoforte subì lo stesso abbandono al centro d’una valle veneta. Lo trovarono alcuni uomini di rientro dalla caccia in un mattino spettrale d’inverno. L’erba era compatta sotto una fitta coltre di brina e il vecchio pianoforte sostava nella conca. Quello che inizialmente parve ai cacciatori un indistinto punto nel verde, diventò per tutti un misterioso enigma da risolvere. Andarono a vederlo gli uomini con le fascine di legna sulle spalle, le madri coi loro bambini, qualche gatto si accovacciò persino sulla sua tastiera irregolare e ci andai anche io. Quel giorno il silenzio era quello del primo pomeriggio di domenica, quando nelle case non si sente più il frastuono di stoviglie e arriva da lontano soltanto il rumore di un tagliaerba stanco.
Mentre il vento scomponeva i rami degli alberi spogli, intravvidi la carcassa sulle sue gambe legnose. Come unica tomba di un cimitero abbandonato, mi avvicinai e mi accorsi che dietro a una delle sue gambe era nascosta una rosa bianca di pietra.
Lasciai il pianoforte al mutismo della sua voce fino a che una sera, era ancora inverno, qualcuno ebbe invidia della sua bellezza umile e decadente. Le fiamme si sprigionarono nel cuore della valle e fu difficile domare il fuoco, ma i vicini ci riuscirono. Tutto quel che rimase fu un cumulo fumante di legna da ardere. In pochi giorni la voce si sparse e tutti giunsero per vedere quel che era rimasto del pianoforte un tempo desiderato, acquistato, poi abbandonato e dato al fuoco. Forse qualche ragazzaccio vide la sagoma indistinta tra il buio della notte e il chiarore delle stelle; la raggiunse e la sfiorò con le dita sporche d’un male perverso prima di vederla accartocciare dolorosamente su se stessa.
Guardai le ceneri del pianoforte come un mucchietto d’ossa. Gli avrei portato un fiore, quando le donne avrebbero sparso petali sui capitelli del paese nel mese di maggio. Gli avrei regalato dita sottili e piene
d’amore, quelle che un tempo lo accarezzarono per allietare una giovane sposa in un nobile salotto.
Un giorno un bambino mi raccontò che quando c’era brina il pianoforte sprigionava per la vallata un colore bluastro e argentato. Abbassò la voce per confessarmi d’averlo sentito suonare.
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