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20 novembre 2023 * William De Biasi
Sono oramai passati 100 anni da quando a Zone nasceva la prima “colonia climatica”, una grande struttura immersa in una meravigliosa pineta in località Croce di Salven, inaugurata poi il 3 Giugno del 1929. A tale cerimonia presenziarono un centinaio di persone tra illustri signori e autorità, e Monsignor Giovanni Cazzani, divenuto vescovo di Cremona nel 1914.
Un progetto ambizioso, certo, ma siamo in pieno periodo fascista e tutto è possibile. Il taglio del nastro venne fatto da “Donna Anita Bertolazzi”, la signora Farinacci, successivamente incarcerata solo perché moglie di un fascista.
Ore 10.30 precise, “Donna Anita Bertolazzi” tagliò il nastro: l’“Istituto Climatico Cremonese” è ufficialmente inaugurato.
Sei anni prima nasceva in località Zone la prima struttura, che serviva ad ospitare i “minorati di guerra”, ovvero tutte quelle persone che nel corso del conflitto avevano subito mutilazioni o menomazioni. In seguito si pensò di istituire un complesso più idoneo, che potesse servire successivamente come struttura sanitaria e quindi come vero e proprio “Sanatorio” antitubercolare.
Questa la motivazione primaria che servì al trasferimento della struttura da Zone a Borno, ma con molta probabilità le ragioni erano di carattere politico: la popolazione era riluttante al fascismo ed il paese era stato bollato come “fuori legge”.
La struttura venne quindi costruita su un terreno di 5000 mq, con un costo iniziale di L. 400.000 che poi salì, vista la successiva idea di utilizzarla come vero e proprio “Sanatorio”. Fu infatti necessario modificare il progetto iniziale per adattarlo alla nuova configurazione, creando appositi locali lavanderia e locali di disinfezione. La struttura era gestita nella parte amministrativa da apposito personale e per quanto concerne la parte sanitaria e religiosa era gestita da un Padre e due fratelli Camilliani, oltre a due inservienti.
Il 5 Giugno i primi ospiti, a carico dell’Opera Nazionale Invalidi di Guerra e del Consorzio Antitubercolare, varcarono la soglia della struttura: 120 lavoratori che ancora portavano il disagio della guerra combattuta. Fu difficile in una prima fase combattere la diffidenza di chi temeva un possibile contagio, mentre i malati stremati dalla malattia cercavano soltanto un balsamico e passeggero refrigerio.
Crebbe la fama di Borno che risultava essere il primo centro riabilitativo in Italia. Negli anni successivi seguirono la costruzione del secondo Sanatorio, quello maschile, e nel 1934 il Sanatorio Femminile ed Infantile “Gaetano Bonoris”.
Tali strutture furono utilizzate per diversi anni, poi a cavallo degli anni '70 l’ente Colonie Riunite Cremonesi - nata nel 1965 dalla fusione di tre diverse realtà - vide il potenziale dell’immensa struttura e siglò un primo contratto di sei anni per il suo utilizzo, usufruendone almeno fino agli anni ’80.
Il mancato rinnovo del contratto di locazione e il poco interesse da parte dell’ente portò ad una una fase di abbandono e declino.
La struttura gestita in un primo momento dall’Ente Colonie Riunite Cremonesi divenne di proprietà della provincia ma nessuno se ne interessò, restando in tal modo abbandonata a se stessa.
Sono oramai passati 45 anni e le strutture sono oramai nascoste in mezzo alla vegetazione, circondate da un immenso parco completamente occupato da boschi e vegetazione incolta. Alcune parti del tetto hanno iniziato a cedere con la conseguenza che l’acqua, iniziando a entrare, indebolisce l’intera costruzione portando sicuramente, ad effetto domino, al suo crollo totale. L’aver notato come siano mutate le condizioni di conservazione del complesso, avendolo rivisto dopo pochi anni, mi fa purtroppo capire come il suo destino sia oramai segnato.
Nonostante la struttura sia stata messa spesso all’asta non ha trovato mai un acquirente. Si sarebbe potuto sicuramente trovare un uso alternativo, ma nulla è stato fatto. Mi ritrovo pertanto a ribadire ciò che me per me sarebbe più logico: conservare, ristrutturare e convertire, costruire quindi sul costruito, preservando le strutture esistenti come patrimonio storico e salvaguardando anche il territorio da inutili e continue colate di cemento, ridando quindi vita a ciò che già esiste.
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