27 novembre 2024 * William De Biasi
Nel cuore della provincia cremonese, lontano dagli occhi incuriositi delle grandi città, si trovava un bar gelateria che, al calar della sera, si trasformava in un luogo di perdizione. Di giorno, con le sue pareti bianche e il soffitto dipinto di azzurro, il “Palo di Chieve” accoglieva famiglie, bambini e coppie in cerca di un momento di dolcezza. Gelati colorati, caffè fumanti e chiacchiere leggere riempivano l'atmosfera. Ma quando il sole scompariva all'orizzonte, quel medesimo locale si metamorfosava.
La luce calda delle lampade si oscurava, le porte venivano sbarrate e il sipario calava sulla vita innocente del giorno. I corridoi, un tempo animati da risate spensierate, si tingevano di rosso e diventavano il rifugio di desideri proibiti. Le pareti, adornate di fotografie in bianco e nero di un’epoca passata, testimoniavano l’inizio di una storia che si intrecciava con la malavita. Gli stessi corridoi che ora emettono un silenzio assordante, all'epoca vibravano di gemiti, risate e sussurri indistinti che sembravano promettere avventure senza fine.
Le camere ai piani superiori, una volta espressione di passione, sono ora custodi di segreti dimenticati e di storie mute. Nessuno osava avventurarsi lì, eppure era impossibile non immaginare cosa accadesse dietro quelle porte chiuse. Amori fugaci, incontri furtivi, desideri insoddisfatti; tutto ciò si mescola nell’aria, lasciando un velo pesante e nostalgico.
La musica, che nel piano terra si diffondeva dolcemente, aveva un potere strano. Sulle note di un jazz malinconico, si susseguivano danze sensuali, corpi che si avvicinavano lentamente, volti che si sfioravano come se il mondo intorno fosse evaporato. Ma quella magia svaniva, ogni volta, all'alba; i volti si trasformavano da lucidi e seducenti a stanchi e opachi. E così il "Palo di Chieve" tornava ad essere un bar gelateria anonimo, inghiottito dalla nebbia provinciale.
Col passare del tempo, il flusso di clienti è diminuito. Quelli che un tempo bazzicavano il locale si erano dispersi nel grande mare della vita, o forse avevano trovato nuovi lidi dove sfogare desideri e malinconie. La buona musica, che un tempo inondava l’aria, ora era solo un pallido ricordo. Gli strumenti giacevano silenziosi, abbandonati a raccogliere polvere, mentre il bar perduto nei suoi pensieri, si atrofizzava in un sonno eterno.
I muri, un tempo vivaci e pieni di vita, mostrano ora le loro crepe come cicatrici dell’anima. Ogni segno, ogni fessura racconta di notti di fuoco e di giorni di gelo. Cosa resta? Gli echi di risate, di promesse mai mantenute, e di speranze illusorie. In quel vuoto, l’assenza si fa sentire, un peso che grava su chiunque percorra quei corridoi.
C’era una volta una donna che danzava tra le note del pianoforte. I suoi occhi scuri brillavano di una luce che attirava chiunque fosse nei paraggi. Era conosciuta come Lara, e le sue esibizioni agili e provocatorie riempivano il bar di un’energia palpabile. Lara era il sogno di molti, ma anche la realtà di pochi. La sua vita, un continuo oscillare tra la bellezza e il dolore, si rifletteva nei sorrisi che regalava e nelle lacrime che nascondeva. Per lei, il “Palo di Chieve” non era solo un bar; era un rifugio, un palcoscenico, una prigione.
Quando i clienti andavano via, Lara si sedeva sul suo sgabello, fissando la porta d’ingresso come se aspettasse un ritorno. Spesso, qualcuno tornava, ma nessuno mai restava. Le promesse fatte alle tre del mattino svanivano con la luce dell’alba. Lara continuò a suonare per anni, fino a quando la stanchezza prese il sopravvento. La musica che un tempo riempiva l’aria di passione ora era solo un ricordo triste in attesa di venire dimenticato.
Così, il “Palo di Chieve” visse le sue ultime ore di vita. Le luci si affievolirono, le serrande furono abbassate e gli ultimi sospiri di passione svanirono nel vento gelido della pianura Padana. L'abbandono regnava sovrano. I proprietari decisero di chiudere i battenti e, mentre i cartelli “Vendesi” apparivano alle finestre, il destino di quel luogo si compiva. Chi si sarebbe preso la briga di ripristinare ciò che era andato perduto? La vita continua, e così anche il tempo, incurante delle storie che una volta animarono quel bar.
Oggi, passeggiando davanti al “Palo di Chieve”, mi rendo conto di quanto la vita possa essere crudele. Le crepe nei muri sono le uniche testimoni silenziose della storia che un tempo viveva lì. Non ci sono più risate, non ci sono più promesse sussurrate, soltanto un silenzio assordante che riempie gli spazi vuoti. Le storie di amori e desideri, di passioni e delusioni, sono ora intrappolate tra le pareti, afferrate nel limbo di qualcosa che una volta era vivo.
E mentre la nebbia avvolge lentamente il bar abbandonato, mi chiedo se, un giorno, tutto questo potrà rinascere, se mai un'altra musica risuonerà tra quelle mura, se mai un altro amore troverà il suo rifugio nel “Palo di Chieve”. Ma per ora rimane solo un ricordo triste, un luogo che ha vissuto, amato e infine sofferto, proprio come noi.
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